Genere umano: Perché questa tendenza dilagante a lamentarsi "del mancato guadagno"?

Cari amici, mi permetto d'intervenire evocato da @ Garbino in apparente assenza degli altri presunti esperti. Non sono neanche più abituato a questi sani dibattiti, ma cercherò comunque di fare appello alle mie forze e rinverdire, più che una accorta ricostruzione filologica, almeno un'interpretazione personale, come ritengo peraltro imprescindibile anche in filosofia. Quando ho riletto della diversità tra categorie kantiane e schopenhaueriane confesso che la prima cosa che m'è venuta in mente è l'esordio famoso del Mito di Sisifo di Albert Camus, laddove l'autore scrive tra l'altro che “giudicare se la vita valga o non valga la pena d'essere vissuta, è il quesito fondamentale della filosofia.

Il resto – se il mondo abbia nove o dodici categorie – viene dopo, Questi sono giochi: prima bisogna rispondere”. http://malinconialeggera.tumblr.com/post... Ma non si tema d'essersi allontanati troppo dal quesito su Schopenhauer. Sappiamo che il “sistema” di Schopenhauer non era un Sistema nello stesso senso epistemico nel quale erano sistemi filosofici quelli di Hegel e dello stesso Kant.

Il pessimismo schopenhaueriano ne animava il pensiero molto più che un atteggiamento personale e per così dire “estraneo” al pensiero. Ma insomma, veniamo al dunque ; e il dunque mi sembra consista nel fatto che non sbaglia @ Garbino quando afferma, come nell'altro intervento, che "il modo in cui il fenomeno viene rappresentato non può essere unico altrimenti ci sarebbero soltanto rappresentazioni identiche". Si consideri che “volontà” e “rappresentazione” non corrono su due piani paralleli il primo come una sorta di “verità interna” e l'altra frutto d'un mostrarsi fenomenico delle cose filtrato dall'apparato categoriale umano, come una “scienza” di ciò che del mondo fenomenicamente “appare”.

L' apparire del mondo come rappresentazione è già un prodotto della volontà, ; ed è già, oltre che trascendentale (filtrato “a priori” dalle categorie condivise degli umani), e personalizzato dal “principium individuationis”, anche un prodotto frantumato in una molteplicità che, già per Kant, necessitava di una riunificazione soggettiva (quello che librescamente viene indicato come l' "io penso" kantiano) quasi artificiosa. Dopo Cartesio insomma è già in atto una dissoluzione dello stesso soggetto e della soggettività, in entrambe le direzioni, l''una “trascendentale” che rende il singolo la puntualizzazione empirica di qualcosa che lo trascende come singolo (ma qui l'amplificazione generalizzante darebbe ragione all'interpretazione “gatto-fritziana”;) - ma l'altra nella direzione del soggetto come artificiosa costruzione intellettiva, sviluppata dallo stesso Nietzsche che corresse il cogito cartesiano dicendo di dover sostituire all' “io pensante” un “pensiero pensante” o un “qualcosa pensante” che soltanto una comoda finzione potesse ricondurre a un “proprio” personale “io”. Ora questa “decostruzione” del soggetto è già in pieno sviluppo anche da Schopenhauer pessimista” anche sul piano della verità del soggetto in quanto tale – perché siamo vissuti più che vivere siamo noi stessi un “prodotto” dell'unica volontà ch'è in tutte le cose, e che “produce” la stessa rappresentazione di noi stessi in quanto rappresentiamo noi stessi a noi stessi, e infine del mondo in quanto "nostra" e, benché filtrata e codificata dal trascendentale, moltiplicata rappresentazione .

Per questo appunto volontà e rappresentazione non corrono su piani paralleli, posto che la “rappresentazione”, con nove o dodici categorie, per dirla à la Camus, è essa stessa un prodotto fenomenico della volontà – e il fenomeno stesso è “ciò che la volontà vuole”. Sicché per concludere la volontà è l'unica e profonda realtà, e di OGNI altra cosa, rappresentazioni e fenomeni, esperienze umane d'un umano frantumato anche nella sua singolarità, non rimane che una molteplicità artificiosamente rimessa in piedi per le esigenze d'una sopravvivenza che già prefigura qualcosa, forse, anche della “ri-costruzione psichica” della soggettività freudiana, anche quella in fondo “frantumata” in una molteplicità in mezzo alla quale, come disse lo stesso padre della psicanalisi, “l'io non è padrone in casa propria”. Con tutto ciò, spero di non aver confuso più di quanto chiarito – benché sia meglio talvolta, con apparente paradosso, avvicinarsi al confondere più che al chiarire, stante che con l'intenzione di chiarire ci sia troppo spesso il rischio di banalizzare, ciao e grazie per l'ascolto;)) Considerazione finale.

Dopotutto Schopenhauer disse che il mondo è “mia rappresentazione”. L'attuale scienza è invece, dimenticando tutto, il tentativo di offrire una rappresentazione uniforme e standardizzata della “realtà”. Ma per far questo la scienza è costretta, per esempio, a trasformare la luce in un' oscillazione elettromagnetica, e all'occorrenza in un movimento corpuscolare di fotoni.

Raggiungendo con questa non più “mia” rappresentazione una convenzionalità che chiama “verità” ignorando qualsiasi critica epistemologica. (Senonché citando Heidegger, “la scienza non pensa”. Ciao! ;)).

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